Cristiana Fanelli e Cristina Guarnieri
LA LINGUA DI DANTE, TRA IL DICIBILE E L'INDICIBILE
La tensione verso il “dire” porta ogni poeta sui limiti del dicibile. E così, al culmine della Divina Commedia, Dante incontra il confine ultimo del linguaggio, quello in cui il parlare cede, viene meno e fa posto alla visione:
Da quinci innanzi il mio veder fu maggio
che 'l parlar mostra, ch'a tal vista
cede, e cede la memoria a tanto oltraggio
Nell’italiano moderno la parola oltraggio significa “offesa”, “affronto”, ma Dante ricorre ad “oltraggio” perché dentro c’è la parola “oltre”. La grazia è un’esperienza dell’oltre, è un eccesso, qualcosa che arriva fuori calcolo. Il termine oltraggio, infatti, nel linguaggio cortese significa “dismisura”. Oltraggio allora è la versione dantesca dell'excessus mentis della mistica cristiana: la mente esce fuori di sé e tende verso l’Altro.
Mentre il linguaggio cede, anche la visione perde i suoi oggetti. Non ci sono più, a partire da questo momento estatico, né cieli, né beati, né Empireo, né la rosa, e nemmeno più Maria. Dante è solo dinanzi a Dio: ma come dire l’indicibile?
Nel ciel che più de la sua luce prende
fu’ io, e vidi cose che ridire
né sa né può chi di là su discende
Dante, si sta avvicinando all’oggetto massimo del suo desiderio, sta “appressando sé al suo disire”, e vive un’esperienza estatica:
Trasumanar significar per verba
non si poria; però l’essemplo basti
a cui esperienza grazia serba
Quando nella nostra vita facciamo esperienza della grazia, della bellezza, dell’amore, il primo sentimento che proviamo non è l’insufficienza delle nostre parole? Bisogna trovare nuove parole, perché è il mondo che si illumina diversamente. È anche questa l’esperienza del desiderio. Improvvisamente diventiamo capaci di creare cose nuove.