Autore: Cristiana Fanelli
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12 gennaio 2023
Prologo Come parlare in poco tempo, e a un auditorio tanto composito, di un seminario come Encore (1972-1973) che è insieme un crocevia e un detonatore? È infatti al crocevia di una serie di svolte teoriche che Lacan ha maturato nel corso degli anni Sessanta – novità scandite da seminari quali L’atto psicanalitico (1967-1968), Da un Altro all’altro (1968-1969), Di un discorso che non sarebbe del sembiante (1969-1970), …ou pire (1972) e poi raccolte nello scritto Lituraterre (1971). Ed è anche un punto d’innesco perché dà il via a svolte ancor più radicali, che troveranno compimento ne Il sinthomo (1975-1976), il seminario dedicato a Joyce, e oltre. In questi anni, Lacan compie una vera e propria torsione concettuale che si accompagna a un cambio di linguaggio. Appaiono parole enigmatiche, come supplenza e sinthomo , parole circondate da un silenzio crescente, indice non solo di una malattia che avanzava ma di un pronostico indovinato: il mondo andava in una direzione in cui a debordare sarebbe stato il reale. Quel reale così resistente al senso e alle lusinghe del simbolico che Lacan si propone di drenare attraverso la topologia: il saperci-fare , la manualità, la plasticità dei nodi e delle trecce gli permettono di ripensare il soggetto non solo come effetto del significante, ma come una “scrittura” mutevole del simbolico, dell’immaginario e del reale. Entrare nei territori della clinica borromea è stata quindi una scelta . Attraverso questi nuovi strumenti può leggere i cambiamenti in atto – mutazioni del legame sociale e della sessualità in cui oggi siamo immersi, ma che Lacan presagiva già all’epoca (proprio in questi anni teorizzava il discorso del capitalista). Il suo nuovo linguaggio era perciò un barometro dell’esistente e rispondeva alla necessità di ripensare la clinica e la teoria a partire dal reale. Lalangue/Lalingua Che fa Lacan? Depone concetti che, per anni, erano stati il cardine del suo insegnamento. Se la logica del significante ne era stata l’architrave, ora Lacan fa cadere l’accento sull’ inconsistenza dell’Altro simbolico, sull’incapacità del significante a produrre senso. In questo alveo, promuove lalingua , lalangue in francese, scritto tutto attaccato perché la sua matrice è il la-la-la infantile, la lallazione , quando a contare non è l’articolazione, la segmentazione della catena fonica grazie a cui le parole acquisiscono senso, ma il fatto che le parole sono come letti di un fiume che raccoglie detriti: cioè tessere pulsionali, impasti di voci, suoni, sonorità, lettere, odori, visioni, luoghi, sensazioni corporee, tocchi, sguardi, che comporranno la grammatica di fondo, unica e singolare, di una psiche. Tracce alla frontiera tra corpo e linguaggio, che formano il distillato letterale delle nostre vite, quello su cui poi si costruiranno gli edifici del simbolico. Lalangue si distingue dal significante perché non costituisce una struttura di linguaggio, un sistema in cui ogni elemento si definisce in relazione e per differenza con un altro. Di conseguenza, non è fatta per comunicare, non serve a dialogare. Piuttosto, questo deposito di lettere, di materiali pulsionali e alluvionali, serve a godere. Ve ne parlo perché è cruciale in questo seminario. Basti pensare che, attraverso lalangue, Lacan ripensa sia l’inconscio che l’incontro d’amore. Ci dice che l’inconscio è fatto di lalingua (p. 132), è un sapere su lalingua ed è anche un saper-fare con lalingua (p. 133). Inoltre ci dice che ogni incontro d’amore si sostiene su «un certo rapporto tra saperi inconsci» (p. 138). Cioè è un incontro tra soggetti, o meglio, un incontro da inconscio a inconscio, da sapere a sapere, da lalingua a lalingua . In un incontro d’amore – come vedremo alla fine – riconosciamo l’amato per qualcosa che viene da lontano, per qualcosa di più antico e di più imponderabile che, come vi dicevo, sta alla frontiera tra corpo e linguaggio. Qualcosa che ci fa segno – sottolineo questa parola. Quindi: dalla logica del significante a lalingua . Attorno a questo passaggio essenziale, se ne dispongono a grappolo molti altri. Qui però ci basterà tenere a mente quello che abbiamo appena esplorato. Il reale della clinica In questa grande crisi dell’Altro (quindi del significante e del senso) va situata la preminenza che Lacan accorda al corpo, al godimento, alla scrittura e alla lettera. In un paesaggio profondamente mutato, il simbolico si trova scavalcato dal reale: «Perché la psicanalisi sia seria e praticabile, diceva Lacan in questi anni, occorre mettere in gioco il suo rapporto con l’impossibile da pensare» (… ou pire , p. 86), ovvero con il reale. Ma che cos’è il reale? Non facciamoci ingannare (e qui mi rivolgo a coloro che non frequentano i testi di Lacan): il concetto di reale si distingue da quello di realtà . Potremmo dire che il reale è ciò che residua dalla nostra esperienza della realtà, quindi è un resto che sfugge sia alla presa del simbolico (il reale è indicibile) sia alla presa dell’immaginario (il reale è impensabile, irrappresentabile). Ma, nonostante ciò, è il reale a fare la regia delle nostre esistenze, ma non nella forma di una trascendenza. Che significa? Che quando qualcuno ci parla, l’essenziale sfugge a ciò che viene detto. Significa che l’elemento da cui scaturiscono i suoi discorsi, la sua condotta, il cuore della sua soggettività, ebbene questo elemento non è dialettizzato né governato dal soggetto. Inarticolabile, tuttavia il reale si articola, con effetti, talvolta, rumorosi che intaccano e ordiscono il piano della realtà. E qui apro una finestra su un’inquietudine che non è stata solo di Lacan, ma che ha attraversato il Novecento. Il secolo che più di ogni altro ha valorizzato questo elemento residuale facendone un resto prezioso, una lacuna che riposiziona il senso a partire dal non-senso e che ridimensiona le pretese della Verità. Un elemento che “assicura” incompiutezza e incompletezza. Quasi un antidoto al pensiero totalitario. Il Novecento si è approssimato di continuo a questa zona cercando di nominarla, con sfumature diverse, con concetti non del tutto sovrapponibili: Benjamin lo ha chiamato “il privo di espressione”, Derrida “intoccabile” o “inconfessabile”, Levinas invece ha parlato di “nudità” o forse meglio di “dire”, Paul Celan di “resto da cantare”. La poetessa Anna Achmatova lo ha narrato come “intraducibile in qualsiasi lingua”. E forse, ad altre latitudini, i buchi neri di cui parla la fisica ce ne restituiscono un’altra versione. Nella clinica, Lacan lo nomina reale . Ma se è indicibile e irrappresentabile, in che modo allora possiamo accostarlo? Nel nostro modo di godere, nel sintomo o negli eventi del corpo, «il reale – suggerisce Lacan – è il mistero del corpo parlante, è il mistero dell’inconscio» (p. 125). Per questo Lacan introduce lo scritto: non dobbiamo limitarci ad ascoltare (il significante non significa il reale), ma dobbiamo saper leggere in ciò che ascoltiamo, cioè estrarne la grammatica, attingere a quel deposito letterale che costituisce la lalingua . Sono lettere in giacenza, disseminate nella trama dei detti, che raccolgono materiali corporei e pulsionali. E poi ancora dobbiamo saper leggere nelle lacune del dire, nelle faglie del discorso, nei punti in cui ci si contraddice (quanto importanti!). Ma c’è dell’altro. Il reale ci porta fuori dai domini dell’universale, verso la logica della singolarità perché ciascuno ha un suo reale. Inoltre non si definisce in modo univoco, ma esiste in forme diverse tra le quali il vuoto, l’eccedenza, l’eccesso, l’impossibile, la gioia. Tuttavia il reale che affanna maggiormente Lacan, quello a cui si sta interessando qui, è il reale come impossibile, quello che stringe le esistenze degli esseri parlanti nelle morse della ripetizione, quello che si mette di traverso e separa il soggetto dalla realizzazione del desiderio. È questo il reale contro cui si urta nella clinica e che Lacan prova ad incidere e a spostare. Ma come? Non c’è rapporto sessuale Per prima cosa, lo nomina. E il nome che gli dà è Non c’è rapporto sessuale . È un nome che ha una lunga storia e che Lacan costruisce negli anni (e ripercorrerla sarebbe illuminante). Si tratta di una formula paradossale, che dice altro da quel che sembra. Ed è anche uno degli aforismi più celebri di Lacan – basti pensare alla risonanza che gli ha dato il filosofo Jean-Luc Nancy. Proviamo a spiegarlo. Cito Lacan: «Il nocciolo della vita sta nel fatto che, in tutto quanto riguarda i rapporti tra uomini e donne, ebbene qualcosa non va» (p. 31). I parlesseri sono in “esilio” dal rapporto sessuale ovvero dalla possibilità di fare Uno lungo le vie del godimento. Come dice in Excursus, «se c’è qualcosa che proprio non fa uno, è evidentemente la stretta sessuale» (p. 219) perché, per quanto ci si stringa, «si può godere soltanto di una parte del corpo dell’altro, per il semplice motivo che non si è mai visto un corpo avvolgersi completamente, fino a includerlo e a fagocitarlo, attorno al corpo dell’altro. È per questo che ci si trova ridotti a una piccola stretta, ad afferrare un avambraccio per esempio, o qualsiasi altra cosa – ahiahi!» ( Ancora , p. 23). Il rapporto sessuale s’interrompe, ha termine, il che provoca effetti secondari, vistosi – aggiunge Lacan – soprattutto nelle donne (più inclini all’ ancora della durata che all’ ancora della ripetizione, cfr. Excursus , p. 219). In Ancora , Lacan fa discendere il non rapporto sessuale dall’asimmetria dei godimenti maschile e femminile di cui, perciò, ci offre un’accurata descrizione e che riconduce a due diverse logiche: quella tutta fallica, che presiede al godimento maschile; quella non-tutta fallica, a cui è sospeso il godimento femminile. Ovviamente, non dobbiamo intendere maschile e femminile come dati biologici, ma come posizioni soggettive, modi di stare nel linguaggio cioè di vivere l’amore, il desiderio e il godimento. La logica fallica maschile dà luogo a un sistema universale in cui l’eccezione fonda la regola. Da questa logica discende un godimento organizzato dalla castrazione, quindi incentrato sulla perdita di un oggetto che il soggetto cercherà costantemente di ritrovare dando, perciò, avvio al circuito della ripetizione. Una logica che dà luogo al fantasma: dal lato degli uomini, spiega Lacan, non si afferra mai una donna nel suo essere Altra, ma solo come oggetto a. Perciò, ogni realizzazione del rapporto sessuale sfocia qui nel fantasma ($<>a), in un godimento vettorizzato da un oggetto carico di spessore pulsionale, che si ritrova sul corpo di una donna. Questo tipo di logica ha un suo risvolto preciso anche nell’amore: «Quando si è uomo – spiega infatti Lacan – si vede nella partner ciò con cui si sostiene se stessi, con cui ci si sostiene narcisisticamente» (p. 81). Invece la logica femminile, non-tutta fallica, dà luogo a uno spazio Altro, aperto e illimitato perché privo di referenti, di riferimenti stabili e universali capaci di fondare una norma. È il senso dell’aforisma La donna non esiste dove l’accento cade sull’articolo determinativo “La”: cioè non esiste un modello universale dell’essere donna a cui potersi identificare, un modello che istituisca una norma. Questa logica promuove, quindi, la singolarità, inaugura il regno dell’una per una, delle differenze assolute. Un incremento di libertà che naturalmente ha un rovescio, mi riferisco all’angoscia e al disorientamento che caratterizzano le storie femminili e che rendono così complessa questa posizione. La logica non tutta dà vita ad un godimento che non è incentrato sulla perdita di oggetto, quindi sulla castrazione e sul fantasma, quanto piuttosto su una divisione/sdoppiamento (il lato destro delle formule ci offre, appunto, la scrittura di questa divaricazione): il soggetto si sdoppia tra un godimento che va in direzione del fallo simbolico e un godimento che va in direzione del buco, del vuoto che rende l’Altro inconsistente (lo spazio dell’Altro, infatti, è segnato da un vuoto che Lacan scrive attraverso S di A barrato), un luogo in cui si disfano le identificazioni significanti. La dissoluzione delle identificazioni, infatti, è una delle condizioni d’accesso al godimento Altro. Questo sdoppiamento ci offre la radice strutturale dell’attitudine femminile a smarrirsi, a disorientarsi, di quella esitazione così caratteristica dell’allure femminile. La posizione femminile si gioca quindi sul crinale tra presenza e assenza. La presenza che una donna riconquista nella contingenza dell’incontro d’amore (in cui ritrova la funzione fallica – di questo ci parlerà Thatyana Pitavy). Invece l’assenza, i fenomeni di assenza si producono nel rapporto con il vuoto che è alla base del godimento Altro. Questo godimento dell’essere non tutta – dice infatti Lacan – rende da qualche parte una donna assente a se stessa, «assente in quanto soggetto» (p. 33). Notiamo che nella logica costruita da Lacan, l’accesso al godimento Altro è inscindibile dall’esperienza del godimento fallico che, in qualche modo, le fa da bordo. Lacan descrive molto bene questo intreccio in un passo dello scritto Lo stordito ( Altri scritti , p. 464): «Per quanto siano soddisfatte le esigenze dell’amore il godimento che si ha di una donna la divide» rinviandola alla sua propria solitudine, «mentre l’unione resta sulla soglia». Un uomo che vuole godere di lei, spiega, non potrebbe far nulla di meglio che suscitare nuovamente in lei quel godimento che è suo e che la rende non-tutta sua [1] . Nell’esperienza mistica, questo incontro si dà piuttosto come incontro con la presenza reale, gioiosa e insondabile di Dio. Un incontro che apre però sulla Sua assenza (quindi su S di A barrato), introduce alla notte di cui parlano i mistici e che si accompagna a un’esperienza estrema di solitudine. Ad ogni modo, la logica non tutta implica uno sdoppiamento, ma anche un ancoraggio. Va quindi distinta da un’esperienza tutta non – che spinge piuttosto in direzione della psicosi. Si tratta di una soglia molto indagata nella clinica. Ma di cosa si tratta nel godimento Altro? Di un godimento inatteso, che coglie di sorpresa. Un godimento che non è preparato, né innescato da un evento simbolico. Un godimento, quindi, di cui non si riesce a parlare, di cui forse lei stessa non sa nulla, se non che lo prova . Un godimento che, perciò, Lacan situa nel corpo , ma fuori linguaggio . Senza essere vettorizzato da un oggetto [2] , questo godimento presuppone tuttavia un incontro. Perciò, proprio perché è legato a un incontro, questo godimento è un evento del corpo. Non può dirsi, ma può scriversi: nel corpo o su un foglio di carta! Lacan lo vede scritto sul corpo estatico, erotico, della Santa Teresa del Bernini, laddove Jorge Cacho ci ha ricordato che i mistici, benché praticassero la regola del silenzio, scrivevano moltissimo (qui s’insinua la questione del godimento nella sublimazione e nell’arte). Proprio perché non si fa limitare dal significante e non si ammanta dei fasti del sembiante, il godimento Altro è un godimento al di là del fallo. E che perciò può risultare enigmatico, persino folle. Ne discende una versione dell’amore in cui una donna ama l’uomo in base al sapere con cui lui ama la sua anima, vale a dire al sapere con cui ama questa sua alterità, questo suo sdoppiamento (non di rado, invece, una donna si trova chiamata ad incarnare o l’oggetto del godimento o La donna , quell’ideale che non esiste. Se radicalizzate, entrambe queste posizioni la consegnano a una sorta di devastazione). Nel corso degli anni, Lacan ha ricondotto questo godimento Altro a vari ambiti: Al femminile, come abbiamo appena visto; Al vissuto mistico; All’esperienza dell’artista che si fa poema; Al desiderio dell’analista che si presta ad incarnare un vuoto capace di lanciare il desiderio all’infinito. Torniamo ora all’aforisma non c’è rapporto sessuale . Anche se, negli anni a venire, Lacan giungerà a una conclusione quasi opposta (a rintracciare, cioè, la possibilità del rapporto nella non-equivalenza dei godimenti), in questa fase, invece, riconduce il non rapporto alla disparità dei godimenti. In realtà – come accenneremo tra poco – alla base dell’impossibile rapporto tra Uno e Altro, c’è l’aspirazione a fare Uno. La logica del reale Se il primo passo compiuto da Lacan è nominare l’impossibile come non c’è rapporto sessuale , il secondo passo è edificare una logica che lo scalfisca. Facendo suo il metodo della teologia negativa, Lacan costruisce una logica imbastita su formulazioni al negativo, su dichiarazioni di inesistenza come non c’è rapporto sessuale, non c’è Altro dell’Altro, non c’è vero del vero, La donna non esiste , le sole capaci di nominare il reale sempre così resistente al senso. Al centro di questo edificio logico Lacan pone la contingenza dell’incontro d’amore. Ipotizza, cioè, che sia l’amore a supplire all’inesistenza del rapporto sessuale. Eppure, mentre gli accorda un ruolo così essenziale, ci mette anche in guardia: da grande clinico quale era, Lacan sapeva bene a quali devastazioni possa approdare, verso quali derive possa spingersi l’amore! Non dimentichiamo infatti che la sua porta d’ingresso nella psicanalisi era stata la follia d’amore: il suo primo caso, quello di Aimée, era un caso di erotomania: «Bisogna, infatti, che tutto il nostro discorso porti da qualche parte», a cavarcela o «comunque a dare un’ombra di vita al sentimento chiamato amore» (p. 44). Qui si gioca qualcosa di decisivo per il discorso della psicanalisi. Lo cito: «Il discorso analitico, proprio lui, fa promessa: d’introdurre del nuovo». E questo, cosa enorme, nel campo dell’inconscio le cui « impasses si rivelano nell’amore» [ 3 ] . Ecco il dove in cui la psicanalisi è chiamata a dire del nuovo. Allora, mettendo l’amore in tensione col non rapporto sessuale, Lacan prova a portarlo al di là del narcisismo e al di là di Freud. In realtà non era nuovo a questo tentativo. Pensiamo alla celebre frase del seminario L’angoscia : « Solo l’amore permette al desiderio di accondiscendere al godimento» oppure alla frase « amare è dare ciò che non si ha a qualcuno che non lo vuole», frase che spezza ogni pretesa reciprocità dell’immaginario e in cui, anzi, l’amore si coniuga a una mancanza – tutto il contrario della sfera narcisistica. Ma qui, in Ancora , dire del nuovo sull’amore passa per alcuni precisi crinali che vi enuncio e che poi analizzeremo uno per uno. Dire del nuovo sull’amore L’amore, dice Lacan, è al centro del discorso e del dispositivo analitico (senza amore, non ci sarebbe transfert), ma è anche al cuore di quella raffinata variante del discorso del maître che è il discorso della filosofia: «Da quando avevo vent’anni – ci dice Lacan – non ho fatto altro che esplorare i filosofi sul tema dell’amore» (p. 71). Ora, nella tradizione filosofica occidentale, il discorso sull’amore poggia su due pilastri: l’Essere e l’Uno. 1) La prima mossa che Lacan compie è decostruire l’Essere (a cui opporrà il par-essere ); 2) La seconda mossa è decostruire l’Uno (a cui farà subentrare la scrittura C’è dell’Uno ); 3) In terzo luogo, facendone una supplenza del non rapporto sessuale, Lacan mette l’amore in tensione con il godimento; 4) Infine, quarto punto, Lacan ripensa l’amore come incontro e fa della contingenza l’epicentro della sua logica del reale; Analizziamo ora ciascuno di questi quattro bordi. La decostruzione dell’Essere Veniamo al primo punto, la decostruzione dell’essere. Il punto di partenza è la messa in crisi del simbolico. Lacan dichiara: «Ho aggiunto una dimensione a questo luogo dell’Altro dimostrando che come luogo non tiene, che c’è una falla, un buco, una perdita» (p. 27). L’Altro è più che mai messo in discussione – insiste Lacan – e lui si propone di «forgiarlo» nuovamente, di «riconiarlo» (p. 37). A questa esigenza rispondono sia l’invenzione di lalingua , che abbiamo esplorato, sia la riformulazione del concetto di segno , che vedremo alla fine. Il simbolico che si colora di inesistenza investe anche la dimensione dell’essere: «il linguaggio – scrive Lacan – ci impone l’essere, e ci costringe ad ammettere che, dell’essere, non abbiamo mai niente» [ 4 ] . Questo vale anche per l’amore, perché «L’amore mira all’essere» cioè a quel che «nel linguaggio, si sottrae maggiormente» (p. 38). Gli amanti cercano continuamente di dare nome all’essere dell’altro, la nominazione è tra i grandi eventi dell’amore. Ma l’essere sfugge nel linguaggio e, ciò che ne afferriamo con le parole, resta imbrigliato nella categoria del senso, cioè «del sembiante» (p. 74), non ci restituisce alcuna essenza. L’essere qui ha a che fare con il significato ovvero con quella dimensione che scivola via e si perde nel rinvio da un significante all’altro (non dimentichiamo che Lacan ha rotto la corrispondenza significato/significante interna al segno linguistico di De Saussure: nell’inconscio, ci ha detto, un significante rinvia a un altro significante, non ad un significato, e anzi questo scivola via nel gioco dell’articolazione significante). Due frasi ci restituiscono la forma in cui l’essere si dà nell’inconscio: «l’essere che, ancora un po’, e stava per essere» (p. 38), è così che Lacan pensa l’inconscio, come qualcosa che è sul punto di essere, qualcosa di non ancora realizzato, ma un passo dall’esserlo: un reale in attesa di scrittura. L’inconscio non è il regno del già scritto o un deposito di tracce definite, ma il regno di tracce da riscrivere o ancora da scrivere. E poi, seconda possibilità, «l’essere che, appunto essendo, ha costituito sorpresa» (p. 38) qui il riferimento è agli eventi del corpo, al rimosso, a formazioni dell’inconscio quali sono i lapsus, i sogni, i motti di spirito che, nel prodursi, sorprendono sempre. La sorpresa è un indice sicuro dell’inconscio. Quindi Lacan declina così (come un reale in attesa di scrittura e come sorpresa) i due modi di esistenza dell’essere nell’inconscio. Da questi avamposti prende il via una decostruzione dell’essere ordita su giochi di parole – cioè rinnova il sapere concettuale attraverso la scrittura e la lettera. Ad esempio Lacan dice che l’essere cui mira l’amore è «molto vicino al significante m’essere», ora in francese m’être è assonante con maître , “maestro”, “padrone”. Come dire che l’essere è sempre un «essere al comando» (p. 38), un esercizio di m’êtrise , di padronanza, «io progredisco nella padronanza, sono padrone di me come dell’universo» (p. 54). Quindi un principio ideale di identificazione, persino un dover essere. E poi Lacan coniuga l’essere ( être ) con l’eterno ( éternel ) dando vita al neologismo êtrernel per dire che l’essere come l’amore ambiscono all’eterno, ovvero ad assestarsi in un significato stabile, eterno appunto (se il significante fa routine, come dice Lacan alle pp. 40-41, è perché viene attratto dal significato che «ovunque cerca il suo centro», cerca appunto un senso stabile, che sia sempre lo stesso). Anche nell’amore è così: si chiede all’altro un significato stabile per sé e per la relazione. Tuttavia, il discorso analitico mette in crisi questa pretesa. La significazione non fa che evolvere nel rinvio da un significante all’altro. Il significante smentisce, anzi «ripudia» (p. 39) «la categoria dell’eterno». Più che arbitrario – aggiunge – De Saussure avrebbe fatto bene a definirlo “contingente”. Attraverso questa decostruzione linguistica, Lacan comincia a smuovere la dimensione dell’amore: lo consegna al discontinuo e al contingente. Lungo questa filiera linguistica giunge a sostituire l’essere con il par-essere . Proviamo a leggere assieme questo neologismo. Che fa Lacan? Inietta un trattino nel termine francese paraître , “apparire”, lo stesso trattino che aveva iniettato nella parola amour per far sorgere a -mur (altre volte lo scrive mettendo tra parentesi la a – forse un richiamo al matema dell’immagine del corpo i( a )? – abbiamo quindi due scritture di questo neologismo. Potremmo anche chiederci se il significante muro sia anche in risonanza con il romanzo Il muro , in cui Jean-Paul Sartre esplorava proprio il non rapporto): paraître → par-être par-essere : sembra essere, pare essere (sembiante) essere parà , essere accanto (lettera) amour → a-mur o (a)mur Il francese paraître , “apparire” – il riferimento qui è all’apparizione del noumeno – suona come par-être . L’innesto del trattino altera e decostruisce la categoria del noumeno , e fa sorgere, in prima istanza, quella del sembiante, del “sembra essere”, del “pare essere”. «Bisogna imparare a coniugare come si deve», scherza Lacan, «io par-sono , tu par-sei , egli par-è » (p. 43). È il registro ideale e immaginario dell’amore, quello che poi dà luogo a delusioni, accuse, persino all’odio: «Non sei quel che sembravi!» è il grido che, non di rado, ne restituisce il dramma. Ma a questo punto Lacan compie un secondo movimento, quello che ci porta dal sembiante (dal pare essere ) alla lettera (vale a dire che l’ être diventa una lettre ), o meglio alla lettera d’amore, perché ci dice: questo par-essere va letto come l’essere parà , l’essere a lato , accanto – perché il significante non lo afferra e l’essere resta sempre accanto, all’ écart di quanto possiamo dirne. Dove ci porta questo essere che resta accanto? Ad amare del partner non l’ideale, ma l’imprendibile, l’inafferrabile, ciò che appunto resta accanto. In tal modo, Lacan sostituisce l’essere al comando con una faglia, con un’apertura beante, rispetto alla quale ad agire non è il significante, bensì una lettera (nel luogo dell’essere c’è un buco, una faglia e, accanto, una lettera cioè l’oggetto a ): «Abbiamo qui qualcosa di veramente essenziale alla funzione del linguaggio» (p. 27), commenta Lacan. È proprio in relazione a questa seconda accezione del par-essere che dobbiamo situare l’amore o meglio l’ a -muro che appare attraverso segni bizzarri sul corpo, segni provenienti dall’al di là, dall’inconscio e che sono lettere d’amore quelle che, come vedremo, entrano in gioco nell’incontro. Scrive Massimo Recalcati: «L’incontro d’amore è sempre l’incontro con qualcosa che resiste nella sua alterità, come un muro un “a-muro” appunto, qualcosa che non si può possedere, né valicare, né assimilare. Si ama sempre nell’Altro non il simile a noi, ma l’a-muro. È questa divergenza, questo scarto, che può rendere l’amato davvero insostituibile» [ 5 ] . Ecco alcuni dei neologismi che scandiscono l’avanzata teorica di Lacan. La decostruzione dell’Uno. La disputa medievale sull’amore: amore fisico e amore estatico Veniamo ora al secondo punto: la decostruzione dell’Uno, l’altro grande pilastro del discorso filosofico sull’amore. Qual è la grande questione del non rapporto sessuale? Il mancato rapporto tra l’Uno e l’Altro. La necessità di lavorare l’Uno nasce quindi dalla clinica, dall’aspirazione dei parlesseri a fare Uno. Una spinta, questa, che irrora molte passioni amorose, ma anche identitarie, nazionalistiche e narcisistiche, ispira il desiderio di fusione e opera in certe derive psicotiche – basti pensare che, per illustrare quella forma estrema di malinconia che è la sindrome di Cotard, Lacan è ricorso all’uno delle sfere celesti, alla luna. Per Freud la convergenza tra amore e narcisismo era certa – per inciso, oggi non si parla d’altro, tutta la questione dell’amore ruota attorno al narcisismo nella sua declinazione positiva (l’amore deve migliorarci, tirare fuori il meglio di noi) o negativa (i cosiddetti amori tossici). Lacan che fa? Di questo fenomeno, reperisce il tratto strutturale: la tendenza all’uno è così tenace perché in fondo è all’origine dello psichismo (l’uno immaginario è quello su cui si è costruita l’immagine del corpo mentre l’uno del significante è alla base di moltissime cose, tra cui le identificazioni simboliche di un soggetto. Lacan s’ingegna perciò a reperire un’altra forma di Uno). Ad ogni modo, l’Uno a cui si sta interessando è quello dell’amore: Siamo una cosa sola : è da qui che parte l’idea dell’amore, dice Lacan, ed è veramente il modo più rozzo di dare al rapporto sessuale il suo significato. Da qui è partito anche Freud per il quale l’Eros è tensione verso l’Uno. Ma, se è vero che l’amore ha rapporto con l’Uno, non fa mai uscire nessuno da se stesso. Perciò il problema è come possa esserci amore per un altro. Da qui prende le mosse la rilettura che Lacan fa della disputa medievale tra amore fisico e amore estatico di cui parla il libro dell’abate Rousselot Il problema dell’amore nel Medioevo, un libro complesso e scritto prevalentemente in latino. L’amore fisico , di matrice aristotelico-tomista, è al fondo amore di sé, un amore preso nelle reti dell’ego, dell’egoismo e del narcisismo. L’idea di fondo, scrive Lacan, è che «amando Dio amiamo noi stessi, e amando anzitutto noi stessi – secondo il motto: il primo prossimo da amare siamo noi stessi – facciamo il giusto omaggio a Dio» (p. 67). Sul piano del godimento, però, questa forma di amore invoca l’identità dei godimenti allo scopo di suturare le mancanze del soggetto, di sanarne le lesioni. Ecco ricomposto l’Uno della sfera narcisistica che si sbarazza dell’Altro quasi fosse un elemento perturbante. Alla base dell’amore ex-statico c’è, al contrario, un oltrepassamento dei confini egoici. L’amore estatico suppone l’abolizione dell’io (come talvolta avviene nell’esperienza mistica). Qui l’amor proprio fa posto all’amore dell’Altro. Ma, nella conferenza Excursus , Lacan mette in luce l’impasse di questo amore il cui esito logico, ma estremo, sta nel dire Se è la tua volontà, dannami esattamente il contrario di ogni ideale di salvezza soggettiva. Qui si svela, secondo Lacan, l’aporia di questo amore perché, dice, se è vero che «si rientra nel campo di ciò che dovrebbe essere l’amore» (cioè amore dell’Altro), è anche vero che proprio a partire da questo momento l’amore «diviene del tutto insensato». È vera una cosa ed è vera anche l’altra. Quando si finisce in una impasse , spiega infatti Lacan, significa che stiamo toccando il reale che smentisce puntualmente il principio di non contraddizione ( Excursus , p. 223). Quindi: è vera una cosa (è ciò che l’amore dovrebbe essere) ed è vera anche l’altra (diviene del tutto insensato). In termini di godimento, questo amore si traduce nel fatto che è l’Altro a godere, mentre il soggetto si dissolve. In questo caso l’amore può sfociare nella violenza (e infatti l’abbate Rousselot fa della violenza uno degli attributi dell’amore ex-statico) o, addirittura, può condurre alla morte. È l’amore come perdita di sé. Lungo queste vie l’amore estatico sembra tornare all’Uno, nel senso che riduce l’Altro ad un Uno. Ne discendono delle questioni che vi offro come interrogativi aperti, da discutere. Si profila qui una distinzione tra destituzione soggettiva e abolizione soggettiva. Nella destituzione soggettiva – che per Lacan segna il fine analisi – il soggetto va all’incontro del buco/vuoto nel grande Altro (S di A barrato), cioè esperisce l’inesistenza, l’inconsistenza dell’Altro e la assume. A livello soggettivo ne discende un’esperienza di deposizione del proprio falso essere, una caduta dei sembianti e delle identificazioni che ne discendono. Al contrario, l’abolizione del soggetto in causa nell’amore estatico sembra orientata a far esistere il grande Altro come Uno. Di che Uno si tratti, beninteso, è il punto da interrogare (non di rado, nell’esperienza mistica, l’incontro con Dio apre le porte all’esperienza dell’assenza e del suo vuoto di Dio). Mi sembra comunque importante distinguere questi due diversi movimenti e le loro conseguenze a livello dell’amore. C’è poi un altro punto. Amore estatico, godimento Altro e godimento mistico sono dimensioni solitamente sovrapposte, mentre questo discorso fa emergere punti di contatto e di differenza, introduce degli smottamenti che spero vengano illuminati nel corso dei due incontri che Teresa Forcades e Massimo Recalcati dedicheranno al misticismo. Ad ogni modo, anche se per strade molto diverse, sia l’amore fisico che l’amore estatico mancano l’appuntamento essenziale, quello di favorire la relazione dell’Uno con l’Altro. Entrambi restano ancorati all’Uno. Ed è proprio questa aspirazione all’Uno, secondo Lacan, a decretare l’ impotenza dell’amore. Se l’amore risponde al desiderio di fare Uno, allora come supplenza non può che fallire a propria volta. L’Uno degli insiemi matematici Dire del nuovo sull’amore esige, perciò, di rinnovare anche la dimensione dell’Uno. E Lacan lo fa attraverso la teoria degli insiemi matematici che affronta la questione dell’Uno in modo diverso da quello fusionale amoroso. Nella teoria degli insiemi, parliamo dell’Uno per cose che tra di loro non hanno assolutamente alcun rapporto. Cioè, assembliamo cose eteroclite, prive di similarità, e poi indichiamo questo insieme con una lettera (ecco l’Uno). Quindi, da un lato, abbiamo elementi assemblati senza che abbiano alcun rapporto tra loro (come accade con gli elementi che costituiscono lalangue). Per un altro verso, l’insieme questi elementi disomogenei è designato da una lettera – che, di per sé, non significa nulla, ma che è l’indice dell’assemblaggio, anzi precisa Lacan «le lettere fanno gli assemblaggi, le lettere sono , non designano questi assemblaggi» (p. 46). L’Uno che Lacan sta forgiando non ha più nulla di totalizzante, è appunto una lettera. Da qui la scrittura C’è dell’Uno , quindi, non “l’Uno”, ma “dell’Uno”. È una di quelle sue scritture paradossali di Lacan, che dicono altro da ciò che sembra. Ed è anche una scrittura che ha maneggiato moltissimo, che ha scritto e riscritto, contratto quasi fino alla sincope e poi nuovamente disteso. Indizi del fatto che stava cercandovi qualcosa. Un po’ come ha fatto con la parola amore, tra le più reinventate da Lacan che l’ha declinata con l’essere, con l’anima, con il muro. «C’è dell’Uno non è semplice»: Lacan parte da qui. Se per Freud si annuncia appunto come Eros, come fusione del due in uno, invece «è a livello della lingua dobbiamo interrogare l’Uno» (pp. 63-64). Questo Uno c’è «assolutamente da solo». È da qui, aggiunge, che si afferra il nerbo dell’amore. A proposito di questo “tutto solo” vorrei richiamare qualcosa che Lacan dice sulla solitudine: «Quanto a questa solitudine, di rottura del sapere, non soltanto può scriversi, ma è anzi tutto quel che si scrive per eccellenza, poiché essa è ciò che di una rottura dell’essere lascia traccia» (p. 115). Notiamo quindi che al non c’è del rapporto sessuale risponde il c’è di c’è dell’Uno. Possiamo quindi leggerle come scritture correlate. Probabilmente il passaggio dalla scrittura delle formule a quella del nodo sarà permetterà a Lacan di realizzare qualcosa della scrittura di questo nuovo Uno. L’amore in tensione con il godimento Veniamo ora al terzo punto, cioè al decentramento dell’amore dal narcisismo che Lacan realizza mettendo l’amore in tensione col Non c’è rapporto sessuale quindi, con il godimento. Lacan introduce una frase che torna nel seminario come un ritornello: «Il godimento dell’Altro [con la “a” maiuscola” perché indica il luogo della parola], del corpo dell’altro [e qui è con la “a” minuscola, perché indica il corpo del partner] che Lo simbolizza [perché il corpo del partner simbolizza il luogo dell’Altro], non è il segno dell’amore». Potremmo parafrasarla così: se, facendo l’amore con qualcuno, questo qualcuno godesse, il godimento del suo corpo sarebbe forse il segno del suo amore? La prima risposta che Lacan ci dà è: no, il godimento del suo corpo non sarebbe il segno dell’amore. Nondimeno, però, sarebbe una risposta alla domanda d’amore, e talvolta la sola. L’aspetto interessante di questa frase è che insinua una relazione tra l’amore e il godimento. Anche se prende la strada di una disgiunzione, è pur sempre una relazione. La clinica mostra molto bene quanto amore e godimento si disgiungano e non solo nella psiche maschile (come Freud aveva già messo in evidenza), ma anche nella clinica dell’isteria che tende a separare il corpo e l’anima. L’isterica ama l’anima. Perciò Lacan crea un neologismo che unisce l’amore con l’anima, un amore ideale che mette fuori gioco il corpo. Ma a rimuovere il corpo, ci si può sentire molto strani… Da qui il significante êtrange che in francese coniuga la parola étrange , “strano”, con être ange , “essere angelo”. I fenomeni di estraneità del corpo, però, non sono appannaggio dell’isteria, anzi li troviamo (con declinazioni diverse) nella clinica della psicosi femminile, dell’isteria e del non tutta . Ad ogni modo, Lacan è seriamente intenzionato a rompere la dicotomia tra amore e godimento. Perciò annuncia: «Il cammino che tenteremo di proseguire vi mostrerà dove si congiungono l’amore e il godimento sessuale» (p. 48). L’esilio dal rapporto sessuale. La contingenza dell’incontro d’amore Qui entra in scena l’amore come incontro. Il punto di partenza è dunque l’ esilio dal rapporto sessuale: gli amanti sono degli esiliati. Che significa dire che il punto di partenza è un impossibile ? Che c’è qualcosa che non cessa di non scriversi , che continua a non accadere, al punto da diventare impensabile. È un reale che confina il soggetto in una ripetizione implacabile (si ripete sempre la stessa scrittura che porta sempre sullo stesso impossibile): nei tormenti della ripetizione e del sintomo qualcosa continua a impaludarsi. La clinica vi urta di continuo perciò, nel quadro di un’analisi, l’impossibile è di prassi ed esige una prassi – o un’invenzione. E qui, meraviglia, per sospendere l’impossibile, Lacan non si affida tanto agli strumenti della dialettica, ma si affida all’incontro d’amore che, in termini logici, definisce come contingenza . Da qualche anno, ormai, i suoi testi sono disseminati da significanti quali incontro, azzardo, chance, puro caso , o prosperano di invenzioni verbali come per esempio bon heur (cfr. Altri scritti , p. 548), la “buona ventura” o direi anche l’ora propizia” – un gioco di parole tra bonheur, “felicità”, e bon heurt , “buon urto” o “urto favorevole”, cioè l’urto necessario a introdurre del nuovo – altra parola cruciale del seminario, associata appunto all’amore. Per l’essere parlante, ci spiega, il rapporto sessuale non è altro «che il regime dell’incontro», della contingenza (p 89). E qui, la novità più grande è che l’incontro non riguarda tanto il versante narcisistico dell’amore, non mette tanto in gioco dei sembianti, ma è concepito come incontro da sapere inconscio a sapere inconscio, vale a dire da lalingua a lalingua . Così facendo, Lacan spinge l’amore non solo in direzione del simbolico, ma anche del reale. Solo l’amore come incontro può fratturare la ripetizione e sospendere l’impossibile dando «l’illusione che qualcosa non soltanto si articoli, ma si inscriva, si inscriva nel destino di ognuno di modo che per un certo tempo, un tempo di sospensione, quello che sarebbe il rapporto sessuale trovi nell’essere che parla la propria traccia e la propria via di miraggio» (p. 139). Così, quel che non cessava di non scriversi, ora cessa di non scriversi , e anzi finalmente si scrive e accade. L’incontro ha persino la capacità di generare significanti nuovi, cioè nuove strade per il soggetto. Ogni amore – scrive Lacan – si attacca a questo punto di sospensione dell’impossibile. Ma quale logica governa un incontro o una scelta d’amore? Inoltrarsi nelle vie che conducono a un incontro richiede coraggio dinanzi a questo destino fatale ed esige un riconoscimento: riconosciamo l’amato in base a tracce , a segni che raccontano il suo esilio dal godimento. Segni di uno stile, quindi, di un modo di stare al mondo. Questi segni non appartengono al campo del visibile (del sembiante o del significante), ma al campo del sensibile (del sapere inconscio, di lalangue ). Nell’incontro, allora, prende quota e si rinnova la funzione del segno. Infatti Lacan non si limita a spostare il focus dal significante al segno, ma cambia la definizione stessa di segno. Tradizionalmente il segno indica “qualcosa per qualcuno”. Ad esempio se, arrivando su un’isola deserta scorgessi del fumo, potrei pensare che quel fumo è il segno di un fuoco – quindi il segno di qualcosa, non di qualcuno. Ma proprio qui Lacan dice no: quel fumo non sarebbe il segno del fuoco, ma il segno di chi ha acceso il fuoco, quindi del fuochista. Questo spostamento gli permette di concepire l’incontro come un rapporto tra soggetti che non si limita al significante. C’è un elemento in più: c’è il fuoco! C’è il fuochista e c’è il fuoco, vale a dire una traccia, un elemento letterale, una qualche sostanza, un pezzo di lalangue . Come vi dicevo, siamo alla frontiera tra linguaggio e corpo. Ma sono proprio questi segni del soggetto, spiega Lacan, a provocare il desiderio e qui «è la molla dell’amore» (p. 48). Suscitato da questi segni, il desiderio tende il suo arco verso il corpo, quindi verso il godimento perché: «L’analisi – ci dice ancora Lacan – presume che il desiderio si inscriva per una contingenza corporea» (p. 88). Nell’incontro si realizza quindi una tessitura, un’articolazione inedita tra desiderio, amore e godimento al cui centro c’è la lettera d’amore. Lacan prosegue: questo riconoscimento «non è altro che il modo in cui il cosiddetto rapporto sessuale cessa di non scriversi » (p. 138). Tuttavia, la contingenza dell’incontro d’amore sospende l’impossibile senza affrancarlo. Perché alla contingenza è negato l’infinito (almeno quello aperto, si potrebbe invece lavorare su quello che Lacan chiama l’infinito chiuso, sulla possibilità cioè di rinnovare la contingenza). La sua durata è limitata alle “illusioni” di un incontro che raramente mantiene la promessa dell’amore. Infatti, quando si prova a passare dalla contingenza al necessario, quando si cerca di trasformare quel cessa di non scriversi in un non cessa di scriversi – quando cioè si tenta di passare dal discontinuo al continuo – allora si ricade nel circuito della ripetizione del sintomo. Ma quando l’amore torna all’immaginario, facilmente può virare in delusione, persino in odio. La logica dell’amore costruita da Lacan si arena quindi su questa soglia. Un esito che lo ha spinto a proseguire la sua ricerca, a percorre altre strade per rispondere all’esilio del non-rapporto sessuale, a dirne ancora . Infatti, come scrive Catherine Millot, Lacan non ha mai smesso di cercare «un amore che inventasse nodi con l’impossibile» ( La logique et l’amour. Et autres textes , p. 95). Encore/en-corps Dirne ancora . Vorrei tornare a questa parola… In francese, l’avverbio di tempo encore fa intendere altro, ovvero la sequenza letterale en-corps , “nel corpo”: encore → en corps En-corps è una scrittura cifrata, annidata nel significante encore che mette in tensione il tempo ( quando ? ancora/ encore ) con lo spazio ( dove ? nel corpo/ en-corps ), una scrittura che tocca l’amore e interpella il godimento. Come avverbio è dotato di uno spettro vastissimo di occorrenze. Nella sua forma negativa, indica ad esempio il non ancora , ciò che ancora non ha avuto luogo, ciò che attende di accadere – molto prossimo quindi all’inconscio reale di cui abbiamo parlato: un reale in attesa di scrittura. Questo avverbio tocca l’amore, L’amore domanda l’amore. Lo domanda, ancora perciò Lacan ne fa il nome proprio della faglia (quindi di S di A barrato) da cui nell’Altro parte la domanda d’amore . Ora, per Lacan, ogni domanda (quindi anche la domanda d’amore) è innervata da una spinta pulsionale (la domanda fa parte della formula della pulsione). In tal senso, encore vive di una duplicità irrisolvibile. Da un lato descrive un movimento che si ripete, ancora , nel tentativo di afferrare qualcosa, un oggetto, come quando diciamo: lo voglio ancora ! In tal caso è la spia linguistica di una ripetizione (e si accorda a quello che Lacan chiama l’infinito chiuso). Ma questo avverbio scrive anche un’altra curvatura del tempo: quella che inclina verso la continuità della durata. Come quando diciamo: lo amo, ancora . In questo secondo caso, encore traduce una domanda intransitiva, che non ha di mira alcun oggetto, svincolata da una meta, destinata a quello che Lacan chiama l’infinito aperto. Nella parola encore si deposita quindi una delle divaricazioni più feconde di questo seminario: l’una sospesa a una logica tutta fallica (in cui l’oggetto è carico di spessore pulsionale e avvia il circuito della ripetizione), l’altra sospesa a una logica non tutta fallica (a cui corrisponde un godimento che, rilanciato dal vuoto, si dà come apertura infinita). Lungo queste vie, che sono poi vie dell’amore tracciate però nel corpo ( en-corps ), si toccano due dimensioni che sembravano inconciliabili. E poi, da qui, dirne ancora perché Lacan non ha creato sistemi chiusi di pensiero e, anzi, con la logica non tutta , ci ha lasciato aperto un terreno di fertili di invenzioni. [1] La logica costruita da Lacan pone il godimento Altro in relazione con il godimento fallico il che, evidentemente, distingue il godimento Altro dalle molte forme contemporanee di godimento non sessuale del corpo che, però, non si articolano al godimento fallico. Occorre nominarle dunque in base a una logica ancora da reperire. Non meno interessante sarebbe esplorare il riposizionamento del godimento Altro nel passaggio da una scrittura a un’altra, ovvero dalle tabelle della sessuazione al nodo e alla treccia. [2] Cosa accade invece nel nodo? Una scrittura senz’altro fonte di ispirazione clinica e di cui provo a dare una lettura. Al centro vi si trova l’oggetto ache, da lì, confina con i diversi tipi di godimento: il godimento fallico, il godimento del senso e il godimento Altro. Ciascuno di questi bordi descrive una sua possibilità: lungo il bordo fallico possiamo identificare l’oggetto con il pezzo di corpo catalizzatore di godimento. Qui risalta nella sua natura di oggetto dotato di spessore pulsionale, eppure mancante. Un oggetto causa di desiderio, ma anche di insoddisfazione e che, perciò, dà avvio al circuito sintomatico della ripetizione. Sul bordo immaginario troviamo invece l’oggetto come immagine corporea. L’oggetto-immagine assicura al corpo una consistenza, un senso e un equilibrio narcisistico, ma espone il soggetto alla vasta gamma delle trappole immaginarie (inibizione, idealizzazione, rivalità, ecc.). Infine, sul bordo reale del godimento Altro, l’oggetto si viene rilanciato dal vuoto all’infinito, divaricandosi tra il reale della morte e il reale della vita. [3] J. Lacan, Radiofonia. Televisione , Einaudi, Torino 1982, p. 87. [4] J. Lacan, Il seminario. Libro xx, Ancora (1972-1973), Einaudi, Torino 2011, p. 43. [5] M. Recalcati, Mantieni il bacio. Lezioni brevi sull’amore, Feltrinelli, Milano 2020, pp. 28-29.